Che Rai1 non sia un’emittente per giovani è un dato di fatto evidente anche al più distratto dei telespettatori: eppure non si finisce mai di scoprire a quali bassezze la rete ammiraglia della tv pubblica riesca a spingersi pur di vezzeggiare e coccolare il proprio target di riferimento, quello degli ultrasessantenni.
Ieri sera Felicità, la messa in onda televisiva del concerto-evento che lo scorso ottobre è stato organizzato a Mosca in onore dei 70 anni di Al Bano, ci ha mostrato la spudorata sintesi di tutto quello che Sanremo rappresentava fino a pochi anni fa: la sagra dell’Italia più provinciale e ammuffita, il trionfo delle vecchie glorie da gerontocomio, l’apoteosi di una realtà musicale rimasta ferma a quarant’anni fa.
Introdotta da Pupo e da un’anonima presentatrice russa, sul palco del Crocus City Hall di Mosca ha sfilato una parata di mummie egizie da fare invidia al Museo del Cairo. C’erano tutti i dinosauri della musica italiana, solo sporadicamente intervallati da qualche stellina dell’est: Umberto Tozzi, Toto Cutugno, Riccardo Fogli, i Matia Bazar, i Ricchi e Poveri. Perfino il big Gianni Morandi non si è tirato indietro per un’ospitata nello show dello storico amico.
Ma la star della serata era ovviamente lui, il mitologico, inossidabile, immarcescibile cantante di Cellino San Marco. Infagottato in un improbabile completo bianco da magnaccia anni sessanta, Al Bano si è esibito da solo o in coppia con gli amici, su canzoni proprie e canzoni altrui, dando fondo senza ritegno a quella vocalità così particolare, simile al barrito di un elefante morente, che continua a fare la gioia delle nonne ma che rimane ovviamente indigesta a chiunque abbia una pur minima cognizione di cosa sia la musica.
Tra uno stupro a Tchaikovsky (Il mio concerto) e uno a Verdi (Va pensiero), un grottesco balletto con Riccardo Fogli e un’ancora più delirante esibizione assieme a dei cosacchi in abiti tradizionali, è finalmente arrivato il momento cult che tutto il pubblico stava aspettando, quello su cui era stata costruito l’appeal pubblicitario dell’evento: la “storica” reunion con l’ex compagna Romina Power.
Momento che è arrivato a venti minuti dal finale e che si è risolto in un paio di duetti piuttosto goffi e imbarazzati, sulle note di Ci sarà e Sharazan, con una Romina palesemente in playback e soprattutto palesemente poco in sintonia con l’ex compagno di vita, dal quale sembrava lieta di stare il più possibile a distanza. Eppure Al Bano ha tenuto a rimarcare “l’importanza della famiglia” e nel gran finale non ha avuto remore nel far salire sul palco anche la madre 91enne, Jolanda, e i giovani figli avuti dalla relazione con Loredana Lecciso, per intonare tutti insieme le note di Felicità.
Si può ovviamente sorridere di questo omaggio trash al massimo campione nazionale del vecchiume canoro, e su twitter le ironie si sono sprecate (#albano è stato fra i trend topic della serata). Ma, messi da parte gli sfottò, è difficile non guardare con una certa mestizia alle sorti di un paese che, per riaffermare un minimo di sbiadita grandeur, è costretto ad esportare le proprie ammuffite glorie musicali ad una nazione tanto spaventosamente arretrata sul piano dei diritti sociali e civili.
Che questa deprimente amicizia fra Italia e Russia venga strombazzata in prime time sulla principale rete televisiva pubblica, proprio nei giorni dedicato al pagamento del canone Rai, non aiuta certo a dissipare le perplessità.