Venerdì sera ho seguito un po’ Il Verificatore, nuovo programma ideato da Roberto Giacobbo. L’idea che sta alla base dello show è la seguente: un tizio male in arnese recita la parte del giornalista
(e fin qui non ci sono differenze con Giacobbo, rimarcherebbero i più maliziosi)
e va in giro per il mondo con l’intento di smascherare le “bufale”, gli inganni e le truffe del web. “Dicono che il 50% delle notizie su internet sia falso: sarà vero? Indagherò, ricostruirò la storia che sta dietro ad ogni singola informazione e cercherò la verità perchè ho una missione: sono il Verificatore”, afferma con voce suadente il misterioso tizio, che non vediamo mai in faccia.
(la voce, per inciso, è quella di Claudio Sorrentino, doppiatore di Mel Gibson)
Ma di verifiche, tutto sommato, ‘sto Verificatore ne fa pochine: più che chiarire perplessità, tende a lasciar lo spettatore nel dubbio. Il motivo è che, esattamente come ogni altra trasmissione che si occupa di alieni e templari e chupacabras, Giacobbo non ha alcun interesse a svelare realmente i misteri del pianeta – sennò poi di cosa parlerebbe nella stagione successiva?
Anche il Verificatore si avvale dell’ormai celebre Regola Aurea del Salto Logico: “non so cos’è, QUINDI è un alieno”. Prende un argomento, lo seziona, lo sviscera fino ad un certo punto, poi lo molla lì senza una vera risposta, lasciando che sia il pubblico a farsi un’idea – naturalmente chiedendo a tutti di votare sul sito.
Ciò che mi affascina di questo tipo di show è il modo in cui viene costruito il racconto. Spesso l’enigma preso in esame non viene approfondito: viene lasciato con dei punti oscuri, di modo che il narratore possa presentarlo come preferisce – per creare mistero anche dove magari non c’è. Volete un esempio? Okay. Prendiamo il Cavallo Demoniaco all’entrata dell’aeroporto di Denver.
Verso la fine del programma, il Verificatore giunge in Colorado per parlare delle stranezze che riguardano l’aeroporto di Denver. Si tratta in effetti di un luogo pieno di curiosità e di bizzarrie, tra cui l’enorme statua alta 12 metri di uno stallone rampante dagli occhi rossi davanti al complesso.
“Perchè c’è questo cavallo all’entrata dell’aeroporto? E’ proprio strano. Cosa c’è dietro? Quale mistero nasconde?” si domanda sospettoso il Verificatore. Grazie alla Regola Aurea del Salto Logico, Giacobbo & Friends non san cos’è, quindi forse-mah-chissà il cavallo è un malvagio simbolo del Nuovo Ordine Mondiale.
Il fatto è che non v’è alcun mistero: basterebbe informarsi. Stiamo parlando dell’aeroporto di Denver, in Colorado. Ebbene, il cavallo è uno dei principali emblemi della zona… un po’ ciò che la lupa è per Roma. Il Colorado, inoltre, è una regione assai celebre a tutti gli appassionati di western: ci passavano le carovane dei pionieri. E l’autore della scultura, lo scomparso Luis Jimenez, era famoso per creare opere in cui raffigurava i simboli del vecchio West (come i cavalli, pensa un po’). Per inciso, lo scultore ha dichiarato che gli occhi infuocati sono un omaggio a suo padre, che lavorava nel settore delle luci al neon. E ancora: il simbolo della squadra di football americano della città, i Denver Broncos, è uno stallone. Infine, il nome Colorado Ranger indica addirittura una razza di cavalli statunitensi.
Ora ditemi: quale statua avrebbero dovuto mettere davanti all’aeroporto? Quella d’un calamaro?
(faccio presente che ho raccolto queste informazioni in meno di venti minuti. Avrebbe potuto farlo anche il Verificatore, che viaggia per il mondo ma a quanto pare non sa niente dei posti che visita)
Altro rapido esempio: sempre nell’aeroporto di Denver è possibile leggere alcune parole in una lingua sconosciuta. Codice massonico? Idioma extraterrestre? No, semplicemente i nomi di alcune località nel dialetto dei pellerossa locali.
Capito? La parola “o-si-yo” a noi può suonare misteriosa, arcana o inspiegabile; per un pellerossa Cherokee, invece, vuol dire solo “ciao”. Gli UFO non c’entrano.
Insomma, tradurre ogni cosa secondo il nostro modo di pensare, facendo uso della nostra esclusiva esperienza e guardando il mondo attraverso la lente delle nostre limitate conoscenze, non è l’unico modo. Se lo facciamo troppo spesso rischiamo di finire ai limiti della pareidolia: su una fetta di pane tostato vediamo il volto di Gesù, in una nuvola scorgiamo il volto di Gigi D’Alessio, dagli avvenimenti traiamo solo le nozioni che ci convengono. Vediamo, cioè, solo quel che vogliamo vedere.
Può valere praticamente per tutto, amiche ed amici. Non è che se non sappiamo qualcosa, allora è automaticamente un segreto del governo, una congiura dei marziani o un complotto del New World Order. Raccontar storie è bello, l’immaginazione è importante. Controllare le fonti è però altrettanto importante. Se non lo facciamo, beh… allora forse non vogliamo farlo. O-si-yo, Verificatore.