Dicesi coccodrillo, il pezzo giornalistico (pure un po’ celebrativo) che viene scritto quando qualcuno di molto noto lascia la nostra mortale esistenza per (di solito) sopraggiunti limiti di età. E (sempre di solito) le redazioni dei giornali custodiscono nei loro cassetti questo genere di commiati redatti con previdente tempismo nel caso (non remoto, appunto) in cui gli attempati personaggi di cui sopra ci lasciassero nottetempo.
Ebbene, nella seconda serata di Sanremo in diretta dall’Ariston il mio non più giovane cuore ha dovuto fronteggiare l’emozione di un epitaffio in diretta: se avessi chiuso gli occhi avrei pensato, sine dubbio alcuno, che Pippo Baudo da Militello ci avesse lasciati. In effetti l’età è quella che è, insomma. Ma gli occhi (nonostante la galoppante presbiopia) erano ben aperti mentre l’ho visto recitare dal pulpito il suo coccodrillo. Bizzarrie del nuovo millennio: il defunto che canta (redivivo?) le sue lodi. Che confusione!
Il Pippo Nazionale enumera (ma poi perché? a che pro?) l’elenco “della spesa” delle sue gesta con’un aria di tristo commiato. Pippo non è morto, no di certo: l’ho visto io coi miei occhi mentre arringava dallo scranno allestito sul palco dell’Ariston il “suo” pubblico. Non so se però anche lui ne sia al corrente…di essere ancora vivo intendo: nel suo presente c’è solo il passato…dolce e amaro come lo sono tutte le rimembranze.
Quando la vita si attorciglia sul ricordo di se stessa …è ancora vita? Spiace aver respirato questo momento di saluto imprevisto. Spiace che a recitarlo sia stato lo stesso diretto interessato. Io (ma non faccio testo..in fondo sono una signora un po’ blazé) non ne sentivo la necessità. No davvero…forse per freudiana empatia.