Sono stati due i momenti più spettacolari del Festival di Sanremo di ieri sera, 18 febbraio 2014: la performance di Cat Stevens (convertitosi all’Islam e ribattezzatosi Yussuf) e quella di Raffaella Carrà. Ho subito pensato fosse curioso che la forza dello show fosse stata affidata a due “pischelli” (giusto per usare uno slang da ggggiovani) classe 1948 e 1943.
Badare bene: io non sono fan dei “rottamatori”, e ben mene guardo. Mai pensato che chi ha superato il mezzo secolo di vita vada caricato su un vagone piombato e deportato. Non ho potuto fare a meno però di trovare curioso che il contenuto artistico di ieri sera si fosse poggiato sulle spalle (già ben gravate dal tempo) di due 70enni o giù di lì.
Ma non c’è davvero nessuno della generazione nata dopo gli anni ’80 in grado di comunicare delle cose? O siamo forse noi che rimaniamo avvinti dall’onanistico piacere di rispecchiarci nell’asintotico ed infinito amarcord di “come eravamo”? Noi, intendo non solo gli spettatori (categoria in cui mi inserisco), ma soprattutto quelli che hanno la possibilità di scegliere, di decidere chi si e chi no, chi dentro e chi fuori.
Perchè quando in conferenza stampa il direttore di Rai1, Giancarlo Leone, si compiace per il “nuovo linguaggio di PIF”, rimango un filo sgomenta…come di fronte al filetto di lonza proposto a 100 euro al chilo: nuovo?? Ma se sono dieci anni che PIF propone quel (meraviglioso) tipo di contenuto! Se ne sono accorti solo ora? Alla faccia del “just in time”.