Tra una partita di burraco e l’altra faccio fatica (pur trovandomi in loco, come si confà ad una Signora un po’ agè che trova conforto nel clemente clima invernale della riviera) a capire il successo del brunito Conti Carlo. La sua seconda avventura con il Festival di Sanremo, a dispetto delle paure, delle aspettative e dei “gufi” – come si usa da un po’ dire nelle nostre lande -, procede nel migliore dei modi possibili ed immaginabili.
In tanti (forse tutti) a credere che non avrebbe battuto l’exploit dell’anno scorso: d’altro canto battere se stessi è operazione difficile tra le difficili (per citare lo scrittore Erri de Luca). Eppur lui ci riesce: 49,50 lo share della prima serata; 49,91 quella della seconda, guadagnando (in quest’ultima ) addirittura 8 punti di share rispetto all’omologa dell’anno scorso e in controtendenza con quello che gli addetti ai lavori chiamano “il calo fisiologico” della serata numero due su quella numero uno.
“Un italiano su due ha visto il festival”, chiosa con gongolante soddisfazione il direttore Giancarlo Leone in conferenza stampa. Eh sì, un italiano su due. E pure io rientro nella curva media della distribuzione gaussiana dato che sono qui a seguirlo. Ma provo una fortissima fascinazione, una irresistibile attrazione e curiosità per quell’altro italiano, quello là che non lo guarda: che faccia avrà? Come sarà fatto? Cosa penserà?
Forse trovando un modo per radunarli tutti, quelli lì, per coagularli, si potrebbe salvare questo Paese dal suo futuro (e presente) di medietà. Intanto Conti procede sulla sua strada “pedalando a testa bassa” (come dice lui). Onore al merito.